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Perché faccio l’editore di me stesso? È presto detto...

Da quando hai l’età della ragione pensi a te stesso come novello Celine o Bukowski, seduto al tavolino di un caffè di Parigi/New York/San Francisco in una giornata di primavera, mentre un cronista estasiato ti pone la fatidica domanda che ogni scrittore, prima o poi, si sente fare:
«Da dove trae ispirazione per i suoi meravigliosi libri?».

Bene...
Stando a statistiche piuttosto datate (2006), in Italia ci sono poco più di 50 milioni di potenziali lettori, ma il potenziale resta in massima parte inespresso.
In Europa siamo quarti per dimensione di pubblicazione ma tra gli ultimi per quantità di libri comprati. Ogni italiano nel 2006 spendeva 65 euro all’anno in libreria, contro i 208 della Norvegia, il Paese in cui gli scaffali di casa sono più pesanti.
Ci sono tre dati che rimangono costanti nelle rilevazioni Istat (qui un piccolo dossier progressivo della situazione, che tengo dal 2006). Il primo è che il numero di italiani di più di 6 anni che in un anno legge almeno un libro per motivi non professionali non si discosta mai troppo dalla soglia del 40% della popolazione: circa 22/23 milioni di persone. Cifra che cala anno dopo anno. La seconda costante è che i cosiddetti “lettori forti”, cioè quelli che leggono almeno un libro al mese, sono stabilmente attorno al 15%: in sostanza, un italiano ogni 7. La quota più alta di lettori si riscontra tra i ragazzi di 11-14 anni; tra i lettori «forti» anche le persone da 55 anni in su, che mostrano le percentuali maggiori: 16,5% tra i 55 e i 64 anni e 17,4% tra gli over65. Quasi la metà (47,5% nel 2006, 44% nel 2021: 10 milioni di italiani) si ferma al traguardo dei tre libri all’anno. La terza costante è che le donne leggono più degli uomini (anche se questo vale un po’ in tutto il mondo).
Un’altra caratteristica importante dei libri in Italia è la regionalità. In breve, al Nord leggono 5 abitanti su 10, al centro 4 su 10, al Sud meno di 3 su 10 (solo 1 su 4 in Sicilia, Calabria e Campania).
Continua a crescere lentamente il mercato digitale (ebook e audiolibri) ma 7 italiani su 10 sono fissati con «il profumo della carta» — qualunque cosa significhi — e leggono solo libri cartacei.
Nell’opinione degli editori, i principali fattori che determinano la modesta propensione alla lettura nel nostro Paese sono il basso livello culturale della popolazione (42,6% delle risposte) e la mancanza di efficaci politiche scolastiche di educazione alla lettura (38,4%).
A soddisfare i bisogni di questi amanti della carta stampata, nel 2021 c’erano 1.534 case editrici in lingua italiana, comprese quelle di Vaticano e Svizzera Italiana: erano 2.700 nel 2011 e oltre 5.000 nel 2004. Ciò a fronte di poco più di 2.000 librerie (!) nel 2006 (oggi molte meno); e per giunta c’è da tener presente che alcuni di questi “lettori effettivi” comprano soprattutto libri tecnici, per trovare informazioni legate strettamente alla loro professione...
Dei 1.459 editori attivi nel 2017, quasi l’85% pubblicava non più di 50 titoli all’anno. Stando ai dati Istat 2021, i “grandi” editori realizzano quasi un terzo (30,5%) della produzione libraria in termini di opere pubblicate e tre quarti (76%) in termini di tiratura. In media, micro e piccoli editori pubblicano nell’anno rispettivamente 9 e 54 titoli, i medi editori 239 e le grandi case editrici 706. La quota di invenduto è un’inestirpabile caratteristica del mercato italiano: il 21,4% degli operatori del settore dichiara giacenza e reso per oltre la metà dei titoli pubblicati.

In breve, in Italia siamo in mezzo al guado di un lungo e lentissimo processo di ricambio generazionale, il cui “approdo finale” è ancora tutto da verificare, ma la sentenza è chiara: il mondo del libro non è florido.

Dunque il “mercato della lettura” è già in partenza abbastanza limitato e ben circoscritto, e questa è solo la prima parte del problema.
Perché se credi che la più grossa fatica sia scriverlo, un libro, non hai fatto i conti con l’iter della pubblicazione! Che è qualcosa di estremamente difficile fin dal primo “tentativo di contatto” con un Editore. Tienti stretti i tuoi sogni, però devi anche essere pratico: perché il mucchietto di pagine sciolte che rappresenta il tuo lavoro si trasformi in un libro sullo scaffale di una casa di qualcuno di quell’italiano ogni sette, occorre percorrere ogni passo di una lunga e quasi sempre frustrante strada. Qualcuno sostiene che non esistono capolavori rimasti nel cassetto — un libro buono sicuramente prima o poi verrà pubblicato —. Non è così! Ci sono mille motivi che possono indurre un editore a rifiutare un libro a priori — un esame veloce e superficiale, magari anche solo un titolo che non piace, o una giornata con la luna storta.
Alcuni dattiloscritti, poi — e questa è una colpa tipica degli esordienti —, vengono inviati senza badare all’aspetto del cartaceo o con un file impaginato e interlineato male (senza aver lanciato neppure un correttore ortografico), pensando solo al contenuto, senza riflettere che il primo impatto l’Editore lo ha proprio con il malloppo arrivato per posta o con una form su sito web. E, specialmente per il cartaceo, un aspetto sciatto — pagine sporche e spiegazzate che denunciano passaggi di mano, fogli sciolti che non stanno insieme — fanno finire l’Autore subito in un angolo della stanza, dove il manoscritto resterà seppellito sotto altri mucchi di carta per un mese, finché la donna delle pulizie non lo giustizierà definitivamente.

Personalmente, da quando lavoro e ho delle entrate (scrivo e suono da molto prima dell’età lavorativa), non ho più avuto il problema di “come presentarmi”: ho realizzato a mie spese le opere, sia letterarie che musicali, tanto da farle sembrare pronte da consegnare ai negozi. Ho realizzato da solo la grafica delle copertine, l’impaginazione, la fotocomposizione; ho scelto la carta, il formato, i caratteri; ho incaricato i fotolististi, i tipografi, gli allestitori (per il cd “Novecento”, anche i serigrafi, i fustellatori e i duplicatori)... Infine, sfruttando le conoscenze di marketing che ho acquisito nel mio lavoro, ho fatto vere e proprie “ondate di mailing” alle case editrici, presentando prodotti finiti, non fogli volanti (o musicassette)...

Puoi leggere qui (PDF) il mailing che ho realizzato e allegato alla presentazione del libro “L’Uomo Nuovo”. Per quanto riguarda il libro “Yeshua”, non mi sono limitato a una lettera di accompagnamento: leggi qui cosa sono andato a studiarmi.

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Risultato?
Sono ancora qui che aspetto, nulla è cambiato dai tempi in cui inviavo “malloppi di fogli dattiloscritti” (tranne il fatto, di non poco conto, che adesso mi edito e pubblico da solo).

Il citato mailing del libro “L’Uomo Nuovo” è stato inviato a 42 case editrici: ho avuto indietro 6 feedback (leggila, è una case history molto istruttiva!). Non male. In quelli precedenti non avevano mai neanche risposto! Sono bravo, nel marketing diretto: una redemption del 14%, un segno di vita ogni sette editori (del resto in linea col numero di lettori di libri rispetto alla popolazione)...
Il mailing per “Yeshua” è stato inviato a 37 case editrici, e qui è andata poco meglio (altra case history molto istruttiva), malgrado i presupposti favorevoli da un punto di vista dei vantaggi commerciali per l’editore... Assolutamente incomprensibile. Non ho veramente parole.

E fin qui ho parlato solo del “primo contatto” con un editore!

I tempi delle case editrici sono lunghi, lunghissimi o mostruosi (Sellerio per esempio risponde dopo circa 18 mesi); l’unica cosa veloce sono i rifiuti secchi e netti, mentre per i «no, grazie» (cioè i no motivati), i «forse» e i rarissimi «sì» possono passare mesi. Alcune case editrici o discografiche non ti fanno neppure la cortesia di farti sapere qualcosa.
Mentre aspetti, sono altamente sconsigliate le telefonate per sapere dove è finito il tuo pargoletto di carta o il tuo cd demo o il file di Word che hai inviato via Internet. E non fanno miglior figura i solleciti via lettera o via email, sia quelli in tono polemico («ho scritto il capolavoro del secolo, perché non mi avete ancora risposto?») che quelli in tono patetico («vi supplico, leggete il mio libro/ascoltate le mie canzoni, ci ho messo tutta la mia anima!»).
Le forme dei no sono molteplici. Le più banali ti informeranno che la tua proposta esula dai programmi dell’editore, o che la casa editrice è satura di impegni editoriali per diecimila anni. Seguirà un garbato ringraziamento per aver scelto quella casa editrice e auguri di miglior fortuna con la prossima. Ci sono dei moduli prestampati in quasi tutte le case editrici, con un messaggio del genere (Minimum Fax all’epoca dei miei tentativi aveva l’email pronta e risparmiava sul francobollo: confronta i messaggi con cui rispose a “L’Uomo Nuovo” e a “Yeshua” ).

Ovviamente, come in tutte le cose italiane, si può tentare la strada della “raccomandazione”: i fortunati che hanno un parente “potente” possono saltare a piè pari lo scoglio del primo contatto. Ma arrivare a far leggere i manoscritti a un editor della “casa” è un altro paio di maniche (e in linea teorica sono gli editor, a decidere).

Se non hai amici/parenti “potenti”, e tutti i tuoi tentativi di far passare la tua creatura non hanno dato frutti, nel caso della scrittura ti restano ancora tre strade: irte di difficoltà, costose e non necessariamente votate al successo!

1) rivolgerti a un’agenzia letteraria che faccia valutazione di inediti, lavoro di editing sul testo e anche promozione di autori esordienti — nella penisola ne esistono parecchie, e quasi tutte concentrate fra Piemonte e Lombardia;

2) improvvisarti editore fai-da-te e promuovere tu stesso il tuo libro, dopo averlo fatto stampare da un tipografo oppure averlo trasformato in ebook — che è ciò che faccio io (sono stato fra l’altro il primo autore italiano in self-publishing sulla piattaforma Kindle™ di Amazon: ne ho data la “social” notizia su Facebook e su Twitter), dal 2008 tentando di insegnarlo anche ad altri con il servizio Librarsi da soli;

3) portare il libro da un editore a pagamento, che revisioni il testo e lo pubblichi a tue spese.

Cos’è un editore a pagamento? È uno che fa questi discorsi...

Discorso Standard
«Carissimo amico, appena ho avuto per le mani il suo libro, ho subito capito di avere a che fare con il libro dell’anno. Per questo le ho scritto il giorno stesso del ricevimento del suo libro. Che prosa potente! Che mirabile chiarezza! Che lodevole e laboriosissima ricerca storica! Leggere il suo libro, mi creda, è stato un onore e di questo io la ringrazio. Vorrei che mi vedesse come un padre o un fratello maggiore. Siamo stati fortunati a essere scelti da lei, ma anche lei è stato fortunato a capitare con noi, con tutti i disonesti e gli incompetenti che ci sono in giro. Pubblicheremo il suo saggio, lo presenteremo in una sede prestigiosa, lo distribuiremo in tutte le librerie d’Italia, lo segnaleremo a tutte le TV, a tutte le emittenti radiofoniche, a tutti i quotidiani e a tutti i periodici. Cominceremo con mille copie.
Purtroppo, come lei sa, per gli esordienti pubblicare è tanto difficile. Sì, indigna anche noi questa ingiustizia, ma questo è il mercato in Italia. Per cui siamo costretti a chiederle un piccolo contributo, che ci aiuterà, ma certo non coprirà tutte le spese. Ci occuperemo noi (gratuitamente, proprio per venirle incontro) dell’editing, perché, ne converrà con noi, nel suo libro ci sono parecchi errori e va rivisto. Ma noi abbiamo fiducia nelle sue capacità, nel suo grande talento, e vogliamo rischiare su di lei, coprendo noi tutte le altre spese.
Non le metteremo i bollini SIAE, perché dovrebbe pagarli lei e non vogliamo farle carico di altre spese. Con qualche migliaio di euro le pubblicheremo il libro; se rinuncia ai diritti d’autore per le prime mille copie, le daremo cento copie omaggio del suo libro, contro le solite dieci. Vendendolo ad amici e conoscenti, potrà ricavarne un guadagno in più. Proprio perché crediamo in lei, nel contratto metteremo l’opzione per pubblicare anche il suo prossimo libro: siamo certi che questo sia l’inizio di una lunghissima collaborazione, ricca di successo per entrambi.»

Traduzione realistica del Discorso Standard
«Caro ragazzo, appena ho avuto per le mani il tuo libro, ho subito capito di avere a che fare con un altro merlo. Per questo ti ho scritto una email il giorno stesso del ricevimento del libro: non volevo che mi scappassi. Con un po’ di complimenti mi sono assicurato che mi telefonassi, a tue spese.
Io ho appena dato un’occhiata al libro. Non è poi malaccio, ma come si fa a pensare che questa roba possa vendere, se ci sono in giro altri otto libri, alcuni dei quali scritti da famosi studiosi, sullo stesso argomento, che non hanno venduto praticamente niente? Naturalmente pubblicheremo il tuo saggio, siamo qui per questo, e se saremo fortunati magari riusciremo anche a venderne qualche copia. Ci guarderemo bene dal presentarlo in una sede prestigiosa, che costa un mucchio di soldi ed è riservata agli scrittori famosi; lo distribuiremo alle pochissime librerie convenzionate con noi in Italia, lo segnaleremo via email a tutte le TV e a tutti i giornali, giusto per la forma. E poi la posta elettronica costa poco. Cominceremo con mille copie, teoriche. Ne bastano molte di meno, in verità. Cento saranno tue, ma per le altre non si pone il problema: non avendo il bollino SIAE, che costa poco, ma la cui presenza potrebbe causarci problemi, il nostro operato non sarà mai verificabile. Con il tuo consistente contributo ci garantiremo la totale copertura delle spese e anche un bel guadagno netto.
L’editing va via veloce, con il correttore automatico. Inoltre ti legheremo con un contratto esclusivo anche per il prossimo libro, così avremo, in caso di eventuale successo (anche se molto improbabile, date le premesse), un guadagno extra.»

Quelli un po’ più seri faranno quest’altro discorso
«Caro amico, sono un piccolo editore. Pubblico con contributo da parte tua, ma non ti chiedo cifre impossibili. Solo la garanzia di acquisto per le prime due-trecento copie. Solo in casi rarissimi posso sostenere io tutti gli oneri. Non posso permettermi una distribuzione regolare, perché i distributori chiedono cifre altissime e noi piccoli editori non possiamo farcela col 50/60% di provvigione al distributore. A malapena copriamo le spese con il 30/40% di sconto al libraio (se hai voglia di piangere, leggiti “Distribuire libri” di Maddalena Giordani, editrice Bibliografica, Milano, e capirai quante poche possibilità abbiamo noi piccoli editori, se messi a confronto con le grandi case editrici, che possono contare su una loro distribuzione capillare e sulle migliori posizioni nelle librerie).
Ti pubblico, ma solo se penso che ne valga la pena. Se penso che il tuo libro faccia schifo, te lo dico; con tatto, per non offenderti, ma te lo dico. Se sono certo che sia invendibile, per qualsiasi motivo, non mi ci metto nemmeno. Ho esaminato bene il libro per due settimane, l’ho letto e riletto e penso che abbia parecchie possibilità.
Se il libro venderà, guadagneremo entrambi, ma se io metto a disposizione le mie capacità e le mia esperienza, anche tu ti devi dare da fare.
Ti metto il codice ISBN e il bollino SIAE, perché io sono un vero editore e ti considero un vero scrittore, però dobbiamo lavorare insieme. Studieremo insieme la strategia più giusta: cercheremo di vendere tramite Internet, telefoneremo alle piccole TV locali per chiedere un’intervista, ti organizzerò una presentazione in qualche libreria amica. Tu andrai nei comuni limitrofi, ti proporrai gratis come conferenziere nei circoli culturali, ti sbatterai per la tua parte.
Non cerco di legarti a vita con un contratto in esclusiva, ma spero che, se sarai contento del mio lavoro e se scriverai altri libri, potremo collaborare ancora.»

Io ne ho conosciuto uno nel 2000, Gianni Monduzzi Editore, a Bologna. Uno del primo tipo.

Ho ritagliato un suo avviso pubblicitario sul Corriere della Sera, «Cerchiamo nuovi autori», e gli ho spedito i due titoli editi fino ad allora, “Nostalgie Sperimentali” e “Il Vento sotto i Piedi”. Mi hanno richiamato dopo 15 giorni, «venga su, ci piacciono molto». Ho preso l’aereo e in capo a 48 ore sono stato ricevuto — in uno stanzone in penombra che sembrava un teatro abbandonato — da una tizia sulla cinquantina, tale “dottoressa Longobardi”, affabile e molto alla mano. «Bene, giovanotto, questo si può impaginare con un corpo più piccolo per risparmiare 128 pagine, su quest’altro si può intervenire per risparmiare 96 pagine... Comunque io sono solo la editor, fra dieci giorni il dottor Monduzzi le darà una risposta definitiva, sa, in questo momento è impegnato con la campagna del sindaco Guazzaloca...». Be’, ma non mi avete fatto venir su voi? Un viaggio quasi a vuoto, e al ritorno in aeroporto trovo anche uno sciopero che mi fa atterrare alle 2 del mattino a Lamezia Terme, 150 km da casa! Passano 40 giorni, quindi la “dottoressa” mi richiama. «Affare fatto, allora: ci dà 17 milioni di lire per ‘Nostalgie’ e 14 milioni per ‘Il Vento’, noi le stampiamo i due libri in 500 copie ciascuno e le facciamo anche la cartella stampa per i media». Oh, bene: 31 milioni di vecchie lire, oggi diremmo 16 mila euro. E per fare che? Per ristampare due libri che io m’ero già stampato da solo (stessa tiratura e 224 pagine più di loro!) spendendo poco meno di 3 milioni di lire! Però mi facevano la cartella stampa, “cazzocazzo!” come direbbe il buon Antonio Albanese!

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Quando cominciai a stamparmi e pubblicarmi da solo, senza un editore alle spalle, decisi di apporre comunque un marchio “editoriale” al piede della copertina dei miei libri (qui sopra è come si vede su Dossier Templari Graal, e si ripete identico su tutti i miei volumi), pensando che prima o poi avrei aperto la mia, di casa editrice, e all’uopo rispolverai il nome di una rock-band che avevo fondato nell’adolescenza: Bambini della pioggia suonava alquanto gradevole, era originale e apolide al punto giusto.
Ma una volta disegnato e messo lì, solo soletto a pié di cover, il brand era anche piuttosto insignificante. Fu così che lo accompagnai con un sottotitolo, una specie di dichiarazione d’intenti. «Impressioni» sta per sensazioni ma anche per “stampe tipografiche”; «parallele» significa che sono edite su un mercato non ufficiale; «possibili» è la sfida dello scrittore all’editoria ufficiale, la dimostrazione che ogni autore può anche farcela da sé, a uscire sul mercato della Scrittura.

Oggi la casa editrice è ben lungi dal nascere: lo scrittore Mangla non ne sente alcun bisogno. In compenso la penna del Mangla, mai esausta, ha avvertito la necessità di raggruppare in qualche modo sotto una sola” identità-ombrello” quelle che sono le altre (numerose) impressioni parallele di Luigi Manglaviti, tutte espresse sulla Rete: diari, appunti, articoli, blog, riflessioni sparse. La scelta del brand per questa identità-ombrello non poteva che essere una. E va a chiudere il cerchio con i miei libri.

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E questo è quanto per la “letteratura”.

Per quel che riguarda la musica, oddio, non ho consigli da dare; chi vuole, può contattare un mio amico che è molto più avanti di me, Claudio Altimari, il quale (anche lui dal 2005) “si libra da sé”. Comunque il mercato discografico è ancora più a pezzi di quello editoriale, forse è il caso di cominciare a pregare...

Capito, perché faccio l’editore di me stesso?

(Ma poi, detto francamente, a che serve una casa editrice?)

TUTTI_LIBRI_in_fila 1170x916
  • 08 cercoilfiglio
  • 06 dossier
  • 07 sudario
  • 05 magdala
  • 04 yeshua
  • 03 numan
  • 20 palestina
  • 23 bronzi
  • 24 sonnoragione
  • 22 labirintingan
  • 18 lacura
  • 17 eraunagencan
  • 16 millemesi
  • 19 imbrunire
  • 21 choufflon
  • 15 memorydoubt
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