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NOSTALGIE SPERIMENTALI - RECENSIONI E COMMENTI


«Un romanzo italiano, e sottolineo italiano, sconvolgente, amaro, ma non esagerato o finto, che all'autobiografismo deve molta della sua incredibile forza. Una storia vera di un ragazzo vero, che è l'autore al di là dello pseudonimo (cheeb charmsh suona come "jim jarmusch": ho azzeccato la dedica?). L'ho fatto fuori in due nottate questa Pasqua ed entra nella tripletta dei migliori che ho letto negli ultimi 5 anni (gli altri due sono "In un milione di piccoli pezzi" di Frey e "Chiudimi le labbra" di Arduino, che però sono molto posteriori).»

Silvia Tortona, Bologna - Non autorizza il contatto


«Il dramma di tentare di diventare adulti in "assenza di gravità" etica e morale. La struttura del libro, ad episodi, è articolata in capitoli di differente lunghezza ciascuno dei quali potrebbe rappresentare la pagina di un diario (o la singola videocassetta di un lungo documentario). In questo diario-documentario, il Sud come il Nord dell'Italia del look e della pubblicità (siamo nel 1986/87) ne escono entrambi disintegrati, scorticati da una prosa e da una critica al vetriolo. La 'nostalgia di tempo' (come la chiama il protagonista, scorporandola dalla 'nostalgia di spazio') trionfa come finta salvezza, portando alla scoperta, condivisibile o meno, che siamo al mondo solo per "provare piacere". Il finale cautamente positivo è, a mio avviso, un'altra finzione: gli occhi si sono aperti solo per potersi richiudere definitivamente abbandonando il problema. È l'ultima fuga. È il non-essere.»

Antonella B., Ancona - Non autorizza il contatto


«La "geografia dell'io interiore" come materia di studio in un Corso di Fuga dalla Vita! L'incontro con la "Spugna Blu" mi ha ricordato i momenti migliori di William Blake, ma c'è anche tanto tanto John Fante.»

Nelson, Milano - Non autorizza il contatto


«Prosa snella e divertente, con momenti di altissimo lirismo. Esplorazioni laceranti che potrebbero anche rappresentare uno stimolo alla crescita ma che hanno un costo sempre troppo elevato. Un "maledetto" alla Jim Morrison, con discesa all'inferno e risalita. Insomma i grandi temi della fuga, del ritorno, dell'impossibilità di essere normali, del risveglio di coscienza... conditi però con uno stile persuasivo ed efficace.»

Anna G., Sessa Aurunca - Non autorizza il contatto


«Ho finito di leggere NS e adesso so che mi piace, e pure molto, praticamente non ho fatto che leggere e prendere appunti, segnando spunti e riflessioni. Certamente è un libro che produce, in chi lo legge, emozioni contrastanti che vanno dal sorriso alla rabbia, dal già-vissuto all'ansia, dall'angoscia alla claustrofobia... soprattutto la claustrofobia che, per quanto mi riguarda, è stata l'elemento predominante durante tutta la lettura, e anche dopo, per via di impressioni che mi sono rimaste a lungo scolpite dentro, e che dentro mi stanno ancora lavorando — praticamente lo sto ancora digerendo.
Se l'opera d'arte è quella che suscita emozioni, allora puoi dire di avere scritto un'opera d'arte. Sicuramente si percepisce che il libro è stato scritto da una persona molto giovane, soprattutto per via dei personaggi, scolpiti con l'accetta e non col cesello, con l'atteggiamento del giovane che dal rapporto con gli altri cerca di capire e scoprire se stesso, le proprie sfaccettature, che usa gli altri come specchio per analizzarsi, ottenendone una conoscenza di sè propedeutica alla comprensione dell'«altro da sè». Pur non volendo etichettare il tuo libro come un "romanzo di formazione", perché sarebbe riduttivo, ho trovato molte affinità con "Il giovane Holden", sicuramente molte di più che con altri autori che hanno certamente fatto parte del tuo percorso. (...) Nostalgia? È stata forse l'unica emozione che non ho provato leggendo il libro. Sicuramente, subito dopo aver finito di leggere, ti ho odiato per averlo scritto... ma proprio odiato odiato, per avermi richiamato alla mente quelle sensazioni di inquietudine, l'impressione di non avere le chiavi di lettura del mondo, l'insoddisfazione che "Peggio Calabria" può dare a chiunque abbia un cervello pensante e scarsa capacità di appiattirsi sull'ambiente degradato e privo di stimoli che la caratterizza, e insieme la sensazione di potenza, la sensazione di riuscire a cambiare questo mondo banale, sensazione tipica di quella età — fra i diciotto e i trent'anni, quando ancora ritieni che il destino sia fra le tue mani, e prima che ti accorga che invece ti sta scivolando fra le dita.
All'inizio mi hanno colpita le situazioni, le atmosfere, con forti sensazioni di deja-vu che avevo attribuito al fatto di avere vissuto nella stessa città, fra le stesse persone, nelle stesse condizioni che in quegli anni erano comuni a tutti noi, tanto che mi sono chiesta come hanno vissuto negli stessi anni i nostri coetanei non di Roma o di Milano o di Firenze, ma quelli di Terni, di Foggia, di Grosseto, di Cuneo o di Vicenza, magari hanno avuto le stesse inquietudini che, a vederle ora, sembrano quasi adolescenziali... o forse noi, italiani e meridionali coccolati e protetti dalle famiglie, siamo stati adolescenti intorno ai venti anni.
Continuando a leggere, mi sono resa conto che il disagio che continuava a montare dentro di me aveva anche altre motivazioni, più personali. Più il protagonista emergeva dal libro, e più mi rendevo conto che Cheeb avrei potuto benissimo essere io, e che solo il fatto di essere nata donna, con i vantaggi e le limitazioni che questo comporta (o almeno comportava a Reggio, venticinque anni fa), mi ha consentito di non esserlo. Ho conosciuto l'insofferenza, la ricerca del limite, l'ansia di superarlo per guardare oltre, la fuga al nord (per me è stata Torino, ed è stata accogliente e "calda", però...), il ritorno al sud... l'assenza di certezze sul senso della vita, la ricerca interiore lunga, travagliata (e per quanto mi riguarda ancora in atto...).
Insomma, ero arrabbiata con te per averlo saputo descrivere così bene. Dopo, placate le emozioni forti, ho deciso di scriverti queste cose, ed è il mio modo di ringraziarti per avere creato questo libro.»

"Amanita Muscaria", Reggio Calabria


«Magnetico e ìlare, assatanato e visionario, sarcastico e poetico. Un libro ricco di pagine intense e sofferte su un "ragazzo del Sud" che vive in "solitudine relazionale" il passaggio ad adulto, guardando con insofferenza alla propria diversità rispetto alla "pochezza" che lo circonda. Né l'emigrare "nel ricco Nord" (la "Milano da bere" degli Anni Ottanta) ne salverà le sorti, anzi, confermerà una volta per tutte che il suo pessimismo ha solidi riscontri. Un ritratto imperdibile della grande abbuffata italiana degli anni di Craxi e Pippo Baudo.»

M. Cesare, Montemarcello - Non autorizza il contatto


«Cheeb Charmsh. Un personaggio duttile ed eclettico, incline alle esperienze di vita eterodosse e non "normalizzate" parecchio figlie degli Anni Settanta: il libro si propone come la storia di "formazione" di un adolescente tormentato che trova le prove "dell'impossibilità di essere felici". Al di là della sceneggiatura, contiene esperimenti linguistici e di "forma del narrare" veramente interessanti.»

Onorio F., San Donato Milanese - Non autorizza il contatto


«Ho letto il libro in treno, l'ho letto in viaggio da Siracusa a Udine (sono siciliana trapiantata al Nord, quasi come il protagonista), non riuscivo a staccare gli occhi dalle pagine incalzanti, abbaglianti, coinvolgenti perché vere... La sincerità e la schiettezza sono qualità che possono ferirti, ma sono talmente rare che se ne sente il bisogno.»

Marcella Benincasa, Udine - Non autorizza il contatto


«È un romanzo che parla di una crescita personale amara, a tratti marcita, molto vera. È lineare e schietto, il suo contenuto arriva dritto dove deve colpire. Come il ragazzo del racconto, il libro sembra incompleto, crea una sensazione di mancanza da ricercare nell'avanzare della storia. I voli pindarici sono estremi, e anche il finale ("finalmente" ottimista) offre una redenzione che non cancella la sensazione d'aver digerito pietre. Un brutale ma poetico affresco di come si cresca (male?) nel Sud d'Italia.»

Franco Vinci, Palermo - Non autorizza il contatto


«Racconto dall'alto valore morale anche se con all'interno alcune incongruenze, forse dettate dall'età molto giovane di chi lo ha scritto. Ad ogni modo l'attenzione non cala mai e le vicende del protagonista sono ben identificabili come una sorta di "descente aux enfers", discesa agli Inferi dalla quale non si deve necessariamente uscire vincitori. Memorabili le descrizioni dei paesaggi calabresi, e lo "sbarco" a Milano dipinto con una poesia.»

Marcello Orlando, Reggio Calabria


«L'ho letteralmente divorato in 48 ore, durante le quali non riuscivo a scollare gli occhi dalle pagine. Mi hai fatto piangere, perché anch'io, reggina emigrata e disillusa, ho provato praticamente le stesse cose, ma non ho la tua abilità nello scrivere.»

Letizia Tropea, Reggio Calabria, 2002


«Splendido. Commovente e spietato. Ti lascia un groppo in gola.»

Antonella Frisina, Reggio Calabria, 2001


«Sei un grande! Hai il dono di dire le cose con una schiettezza ed un'ironia che non si sono mai viste!»

Giovanni Gattuso e Anna De Angelis, Reggio Calabria, 2000


«Crudo e maledetto. Eri proprio perduto. Ma dimmi, quand'è che scrivi il seguito, 'ché ne voglio l'anteprima? Non è che lo fai sparire, Cheeb Charmsh, eh? È troppo simpatico...»

C. Alesco, Reggio Calabria, 2000


«La Calabria-da-vomitare e la Milano-da-bere visti da un calabrese freak con il linguaggio di Charles Bukowski.»

Saverio Donato, Cosenza, 1999 - Non autorizza il contatto