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«Se esiste l'infinito, non esistiamo noi»

In questa pagina sono pubblicati i tentativi di confutare il teorema proposto qui...


Micro, nano, pico, femto, atto, zepto, yocto: non è una filastrocca nonsense ma la serie dei prefissi che indicano ordini di grandezza via via più piccoli. Fino a poco tempo fa si riteneva che gli ultimi due fossero stati creati più per gusto di completezza del sistema di misura che per una loro reale utilizzabilità. Ma pare che non sia così: un gruppo di ricercatori del Max-Planck-Institut per la fisica nucleare a Heidelberg ha mostrato come sia possibile progettare un laser a yoctosecondi. Per dare un'idea delle misure in gioco basti dire che uno yoctosecondo (10 alla -24 s) rappresenta «il tempo che la luce impiega a coprire una distanza pari al diametro del nucleo di un atomo»...

Attualmente i laser più veloci possono produrre impulsi non più brevi di pochi femtosecondi (10 alla -15 s), per quanto sia poi possibile ottenere impulsi dell'ordine degli attosecondi «sfruttando le armoniche che risultano dall'interazione non lineare degli impulsi di femtosecondi con reticoli di atomi».

Qualunque cosa significhino queste parolacce, una cosa è lampante: non è stata individuata — e forse non lo sarà mai — una unità di misura ultima, "la più piccola che esista". Perché forse non c'è. Le più superficiali implicazioni di ciò sono chiare: la nostra esistenza nel Presente è talmente "yoctopiccola" da sfiorare la non-esistenza; le implicazioni più profonde sono che forse ci entriamo proprio, in quella non-esistenza...


Autore

Dimostrazione


Paolo (non indica la provenienza)

27 settembre 2007 23:22:20

Ciao,

sul tuo sito ci sono diverse cose interessanti e osservazioni che condivido.
Volevo fare solo un'osservazione rispetto a quel trattato di cui parli nella tua biografia. Lungi da me dimostrare perché il paradosso non funziona: non sono così preparato.
Da quel che ricordo, però, la scoperta degli infinitesimi in matematica ha dimostrato che esistono quntità infinitesimali ma di valore non nullo. Quindi si può dividere all'infinito il tempo presente ma non annullarlo mai.
Come dire che la nostra esistenza si svolge in un continuum di istanti infinitesimali a somma non nulla.

Che ne pensi?

Paolo

Il mio commento:

È un errore in cui cadono tutti: l'assioma "esistono quntità infinitesimali ma di valore non nullo" è (almeno in linea teorica) esatto, mentre "si può dividere all'infinito il tempo presente ma non annullarlo mai" è sbagliato. Le due cose NON sono collegate, e la seconda NON è conseguenza della prima. Perché non è affatto dimostrata.
L'unica cosa dimostrata è che esistono delle "quantità piccolissime", impropriamente definite "infinitesimali". Il problema è che l'occhio prima e la mente umana poi, si fermano ad un certo punto e non riescono ad andare oltre, e, con grande presunzione, questo abbandono viene giustificato con la frase «si potrebbe continuare all'infinito»... Poesia!
No, non si può continuare all'infinito: la prova è che noi siamo qui e ne stiamo parlando, dunque "da qualche parte" si raggiunge una quantità ultima che non si può suddividere ulteriormente. E infatti tu aggiungi:
«Come dire che la nostra esistenza si svolge in un continuum di istanti infinitesimali a somma non nulla.»
Appunto!
Tu li chiami "istanti infinitesimali", i Greci li chiamavano "atomi", i Cinesi "qi", io "quantità ultime"... ma son solo appellativi.
Che ne sa il mare di chiamarsi Tirreno? Sono storie degli uomini.


Aldo S. da Pontremoli

22 novembre 2007 14:17:03

Salve,

mi sono imbattuto per caso nel suo "trattato" filosofico, fisico, matematico sul concetto di esistenza. Immagino e spero non sia io il primo a scriverle in merito e spero vorrà pubblicare in nome della scienza e della verità la soluzione al suo "quiz"... ovviamente per mio carattere sono spinto dal fatto che non mi piace che esistano persone che hanno una curiosità irrisolta nel proprio passato... credo sia parecchio fastidioso :-)

Presente = X
Passato = X - 1
Futuro = X + 1
Non Esiste Più = Zero

Presente :
a) LIM (n -> infinito) di X / n = Zero <=> X diverso da Zero

Passato :
a1) LIM (n -> infinito) di ( X - 1 ) / n = Zero <=> X diverso da 1
a2) LIM (n -> infinito) di ( X - 2 ) / n = Zero <=> X diverso da 2
a3) LIM (n -> infinito) di ( X - 3 ) / n = Zero <=> X diverso da 3
...e così via...
am) LIM (n -> infinito) di ( X - m ) / n = Zero <=> X diverso da m

Futuro :
bm) LIM (n -> infinito) di ( X + m ) / n = Zero <=> X diverso da "-m"

Quindi riprendendo il suo ragionamento "filosofico" se il "Presente Non Esiste Più" cioè a) ha soluzione allora anche am) ha soluzione cioè il "Passato Non Esiste Più" e analogamente bm) ha soluzione quindi il "Futuro Non Esiste Più".
Ma noi nel passato esistiamo, spero esisteremo a lungo per il futuro e quindi sicuramente esistiamo nel presente.

Inoltre l'insieme di tutte le formule di prima hanno un senso matematico solo se X è un numero irrazionale altrimenti sono irrisolvibili per cui a livello "filosofico" noi esistiamo nel tempo solo come irrazionali e forse questo è anche vero visto le immani sciocchezze che ha fatto l'uomo nel tempo e continua a perpetuare per il futuro.

Il mio commento:

Caro Aldo, lei è il primo che ricorre seriamente alla Matematica per risolvere il grande quesito, ma non credo che ci abbia azzeccato, poiché "Non Esiste Più" non è uguale a zero ma a qualcos'altro (lo Zero presuppone la "Non Esistenza", "Più" presuppone che quella Non Esistenza sia stata Esistenza in precedenza); inoltre, se anche trasformiamo "Non Esiste Più" in "Non Esiste" per evitare che il serpente si morda la coda sul concetto di "Non Esiste Ancora" generando un loop da mal di testa, resta da dimostrare che "Non Esiste" sia effettivamente zero.
In ogni caso, l'intero teorema ha i piedi d'argilla poiché imporre fin dall'inizio "Presente = X" significa dare per scontato che "Presente" SIA GIÀ QUALCOSA, la... qual cosa è invece ancora tutta da dimostrare.

Morale: stando al signor Aldo, noi e l'infinito esistiamo solo matematicamente...

«I matematici sono come i francesi: se si parla con loro, traducono nella loro lingua, e diventa subito qualcosa di diverso.» [Johann Wolfgang von Goethe]


Nicola Manca da Roma

09 gennaio 2009 13:54:40

Salve,
prima di esporle la mia apologia in favore dell’esistenza dell’infinito (o quantomeno la sua non esclusione), ci terrei a farle i complimenti per il suo lavoro, per il coraggio mostrato nelle sue pubblicazioni e per la sua perseveranza. Per quanto riguarda i contenuti mi riservo di farglieli sapere ex post.
Mi dilungo ulteriormente per spendere alcune righe su di me: credo sia corretto sapere qualcosa gli uni degli altri, quando si interloquisce.
Mi chiamo Nicola, ho 23 anni, sono laureato in scienze economiche e sto ultimando la specializzazione a Roma in finanza.
Dirigo una società di statistica e sono fuori media per quanto riguarda la quantità di libri acquistati e letti nel corso di un anno. Non sono una variabile significativa del campione anche per il tipo di letture che faccio, ma non ne faccio una vergogna.
Detto questo passo al Nicola-pensiero sull’argomento da lei sollevato.

Partendo dal principio di conservazione di Newton che recita “Nulla si crea dal nulla in ogni operazione di cambiamento e in ogni reazione vi è una quantità' uguale di materia prima e dopo la trasformazione” o se vuole dall’ancora precedente principio di Anassagora “Nulla si crea nulla si distrugge, tutto ciò che esiste è soltanto l’unione o la separazione di oggetti che esistevano già prima” vorrei proporle di eseguire il suo ragionamento a ritroso.
Iniziando cioè dalla fine che lei ha trovato, si svolga l’operazione inversa in cui si cerca di arrivare al presente che è l’intervallo temporale più grande possibile.
Ovviamente non si può partire da zero, altrimenti questo processo inverso non sarebbe possibile. L’infinito dunque continua a esistere e a portarci a un risultato sempre diverso da zero. Affinché un numero sia zero infatti, esso, va diviso per zero. Ma questo non equivarrebbe a fare una divisione nel senso che intende lei.
Inoltre, il concetto matematico di tendenza asintotica, per quanto impalpabile e sottile, credo dia una buona giustificazione all’errato passaggio da esistenza a non esistenza dell’infinito.
Si parva magnis componere licet credo che il problema sia in realtà, considerato l’intervallo piccolissimo (che è già passato), da ricercare nel concetto definito da Evans nel campo della teoria dei giochi della “praticabilità”.
Arrivare a comprendere l’infinito che sta dietro la divisione del presente, equivarrebbe a rendere esponenzialmente più irrisolvibile l’algoritmo per la soluzione del gioco degli scacchi. Ovviamente le nostre capacità computazionali non ne sono capaci, ma non per questo non esiste il concetto in sé.
Il suo discorso quindi – a mio modesto e insignificante parere – risulta valido se ci si fa carico del concetto di approssimazione con tutte le conseguenze del caso. In vero, se si ricerca la precisione, non si può far altro che dare spazio al concetto di infinito fino a quando non saremmo in grado di pensarlo nel modo corretto.
Provi a dividere per tre il suo spazio/tempo infinitamente piccolo. Non ottiene forse un altro spazio che ancora ammette la divisione per 3? E quest’ultimo non ammette ancora la divisione per tre?
Siamo in un sistema centrifugo e autopioetico.

Detto questo l’argomento meriterebbe sicuramente un’articolazione maggiore ma lo studio mi richiama a sé.
Attendo una sua risposta.

Cordialmente,

Nicola

Il mio primo commento:

Caro Nicola,

intanto grazie e, con il suo permesso, pubblico il suo intervento in quella sezione del sito, così vediamo se qualcuno può intervenire/contribuire/approfondire...

Per quanto mi riguarda, posso dirle:
1) non ho trovato alcuna fine, dunque un percorso a ritroso non è possibile;
2) nessuno ci conferma che il presente sia "l’intervallo temporale più grande possibile", anche perché non siamo neanche certi che sia un "intervallo";
3) "l’errato passaggio da esistenza a non esistenza dell’infinito" è qualcosa di inverificabile per la troppa soggettività e autoreferenziazione connessa al ragionamento da parte di noi semplici osservatori. La "observer dependentness" consiste nel riconoscere la dipendenza dell’osservazione dall’osservatore. Nella scienza classica la tendenza asintotica verso un punto di osservazione infinito e assoluto era il presupposto per un ideale di conoscenza perfetta e completa: l’autoreferenza e "l’observer dependentness" conducono invece al riconoscimento della relatività ricorsiva di ogni osservazione. In poche parole: è solo un nostro giudizio e, in quanto tale, opinabile;
4) per lo stesso motivo del punto 3, che il concetto "esista in sé" non può essere appurato, solo congetturato.

Sappiamo solo che possiamo continuare a dividere il momento presente in tre momenti dei quali solo uno è Essere — gli altri sono Non Essere —, e dividi che ti dividi, quest'Essere si riduce esso stesso alla Non Esistenza, nel momento in cui la divisione non ha un termine.

A sua volta, Nicola continua così:

Caro Luigi,
muovo ancora una critica alla sua apologia. O meglio, occorre fare una precisazione per evitare di cadere nel convenzionalismo piu insipido.
Se non è possibile che sia un intervallo temporale, non possiamo dividere qualcosa che sia puntiforme per le caratteristiche insite nella definizione di punto (che per comodità e tradizionalismo potremo anche chiamare atomo), e cosi il suo ragionamento di divisione non potrebbe esistere. Dobbiamo stabilire quindi se vogliamo si tratti di un intervallo o di un istante indivisibile per definizione. A seconda della scelta cambieranno inevitabilmente gli approcci.
In ogni caso cercherò ancora di trovare una soluzione, sebbene, ahimé, per ogni nostra scelta, esiste l'opposto che in termini di valore atteso è uguale. Un po' come l'esistenza di Dio: se decido di abbracciarla sto negando la sua non esistenza il cui valore atteso è 1/2. Purtroppo nemmeno percentualmente si può dire che una abbia la meglio sull'altra. Pascal trovò una bellissima quanto opportunistica soluzione, ma gia aristotele capì che non era con la matematica o con un valore monetario che si può credere.
Ecco perché la mia argomentazione era discorsiva e non formulistica! E inoltre, in quanto sostenitore della teoria newtoniana, come posso credere che un punto che non ha dimensione possa formare una retta che ne possiede una? E quindi come posso basare un'argomentazione su qualcosa che ritengo sbagliato?
Le auguro un piacevole fine settimana, nel mentre continuerò a pensare in attesa di avere fra le mani il suo libro.

Al che io rispondo:

Caro Nicola,
quale strumento scientifico ha mai visto un "punto"?
"Un istante indivisibile per definizione" è, appunto, solo una definizione: pura soggettività. Nella sostanza — sempre discorsivamente, beninteso — e fino a che scientificamente non venga provato il contrario, il Presente continuerà a poter essere diviso in Fu, È e Sarà.
Con Fu e Sarà che si accumulano sempre più, a discapito di È...


Stefano Fabris (non indica la provenienza)

28 febbraio 2009 23:36:37

Secondo il mio pensiero il Tempo come lo Spazio sono relativi ed appartengono ad una sola legge:
"l'ENTROPIA"... legge fisica che da il senso e la direzione al Tempo.
Mi permetto anche di dire che il Tempo scorre in modo diverso per ogni cosa su questa terra e nell'Universo, e che non possiede un unità calcolabile.
Ovvero, come per lo Spazio... avvicinandoci ad una stella lo Spazio viene deformato dall'astro stesso. In questo caso dovremmo avere un "metro" differente per ogni frazione di spazio alla quale ponessimo misura.
Così per il Tempo che assume un significato relativo a dove ci troviamo nell'universo e tiene conto anche del fatto entropico che gli dà forma e direzione.
Dunque il "metro" o il nostro "orologio" misurano delle Entropie relative alle quali l'uomo ha creato delle convenzioni per mettere ordine la'ddove vi è disordine. Quindi suddividendo lo Spazio o il Tempo (come da noi inteso) non troveremmo qualcosa di interssante ma un'infinità di risultati insignificanti.
Saluti
Stefano Fabris

Il mio primo commento:

Caro Stefano,
il Tempo avrà pure, come dice lei, un "metro diverso di scorrimento", ma che non possieda una "unità calcolabile" è una sua affermazione. Indimostrabile.
Come che sia, lei ammette lo scorrimento: come fa a "scorrere" — peraltro con "metri diversi" —, se non possiede una dimensione? Lo "scorrimento" è qualcosa di misurabile, che viene fuori da un confronto fra due quantità o qualità, e altrettanto è la "diversità". Le quantità, i confronti, le diversità... nulla sarebbe possibile, senza dimensioni: a loro volta le dimensioni non sarebbero possibili, senza unità costituenti.
Tempo e Spazio saranno pure delle "Entropie relative": ma il solo fatto che ci sia una "relatività" presuppone un confronto fra dimensioni, cioè fra somme — sia pur relative, elastiche o indeterminabili che dir si voglia — di unità.
Infine, anche l'Entropia in quanto tale non consente di ingabbiare il ragionamento su questa fantomatica unità costituente minima. L'aumento di entropia è un fattore strutturale dell'Universo, e pur non essendo possibile quantificare l'entropia massima — non essendo noto un legame analitico fra le variabili entropia e temperatura, che nell'intera teoria termodinamica si rappresentano appunto come variabili indipendenti —, è certo che esista uno stato iniziale a entropia "nulla", il punto di partenza, lo zero: se esistesse l'infinito, questo "stato zero" non sarebbe possibile.

A sua volta, Stefano continua così:

Il Tempo è, a parer mio, legato indissolubilmente allo Spazio. Ovvero, dove vi è Spazio, vi è scopo per il Tempo di consumare l'esistenza (immaginiamo di bloccare il tempo!). Nel verosimilmente "infinitamente" piccolo, dove i fotoni sono grandi quanto l'universo intero, lì, a mio parere, non vi troviamo il vuoto o qualche fantasiosa spugna fatta di materia oscura ma vi è il Nulla, e dove vi è il Nulla non vi è il nostro amato intreccio Spaziotemporale. Lei chiede dove il tempo non può più essere frazionato: be'... io dico che il tempo può essere frazionato fino a che vi è scopo, e per scopo si intende l'esistenza, e per esistenza si intende presenza dell'intreccio Spazio-Tempo. E dove quest'ultimo non esiste (nel Nulla), si ferma la ricerca del nostro quanto di Tempo.
La sua "quantità costituente minima" quindi si trova ai confini della materia, fin dove vi è scopo. Come avevo detto, il Tempo è dato dall'Entropia che è basata sul fatto che nell'universo vi è una quantità precisa, non infinita, di materia e di energia.
Sembra fantascienza incomprensibile... Certo!, si parla di un'unità di misura che l'uomo non ha ancora inventato e che tiene conto sia dello Spazio sia del Tempo. Quindi non possiamo fare riferimento al Tempo per come lo intendiamo noi!
Farò un ultimo esempio: lei, sig. Luigi, chiede in parole povere: «qual è quel segmento di tempo infinitamente piccolo che chiamiamo presente o esistenza?»... Io affermo che se esiste un entità minima esiste anche un'entità massima, e questa entità massima trova misura nella dimensione dell'Universo. Ovvero nello Spazio, e dove c'è Spazio c'è scopo, e dove c'è scopo c'è Tempo.

Al che io rispondo:

Caro Stefano,
la sua teoria testé espressa attende una verifica scientifica — qualcuno fuori dal sito può essere d'aiuto? —, ma nel frattempo un mucchio di sue affermazioni mi lasciano perplesso, e una di esse peraltro mi piace da morire...
«Nell'infinitamente piccolo, dove i fotoni sono grandi quanto l'universo intero» è Poesia, non Scienza (né Saggezza né Sapienza). Ed è pure Esoterismo, postulando l'esistenza, cara agli Ermetici, di un "cerchio" nel quale convergono l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo.
«Lì [nell'infinitamente piccolo] non troviamo il vuoto ma il Nulla» è una sua decisione: ma che il "nulla" esista (o non esista, a seconda della semantica) è ancora da dimostrare.
«Se esiste un entità minima esiste anche un'entità massima, e questa entità massima trova misura nella dimensione dell'Universo» è un'affermazione arbitraria che va a contraddire il suo precedente messaggio basato sull'Entropia: infatti dell'universo si conosce lo stato iniziale a "entropia nulla", non lo stato finale a cui eventualmente converge (a entropia e temperatura massime: in teoria "infinite"); ossia, che esista una "entità massima" è qualcosa di cui non siamo sicuri — peraltro, i matematici e i fisici ci dicono che la funzione entropia non dipende e non dà informazioni sul cammino che è stato e che sarà seguito per arrivarci, ovvero non ci dice il futuro termodinamico di tutto ciò che esiste.
E per finire, la perla: «il tempo può essere frazionato fino a che vi è scopo, e per scopo si intende l'esistenza, e per esistenza si intende presenza dell'intreccio Spazio-Tempo»... questa è Arte. Anzi, direi di più: è arte della dialettica, quella che produce Filosofia. Potremmo stare a discutere per delle ore sulle implicazioni di quanto lei afferma in questa frase, specialmente per ciò che riguarda Relatività, Soggettività e altre "interazioni dell'umano nell'ultraumano".
Ma annoieremmo chi ci legge, e il problema di fondo resterebbe comunque irrisolto — anche "entropicamente"!